
Da quando nel 2019 abbiamo iniziato ad occuparcene, le truffe online legate al trading sono cambiate parecchio. Non si tratta più di singoli truffatori isolati o di operazioni improvvisate: oggi questi schemi criminali somigliano sempre più a vere e proprie multinazionali. Hanno uffici, gerarchie interne, manager con ruoli specifici, e tecnologie in grado di muovere denaro oltre i confini nazionali con una rapidità disarmante. Lo scopo è uno solo: ingannare chi cerca di investire e svuotargli il conto corrente.
Un’inchiesta pubblicata in queste ore su Wired ripercorre bene come le cose stanno cambiando (in peggio) partendo da altre due grandi inchieste giornalistiche sull’argomento, Fraud Factory (2020) e Scam Empire (2025), entrambe realizzate dall’Organized crime and corruption reporting project (Occrp) e un consorzio di 32 testate giornalistiche internazionali (IrpiMedia per l’Italia).
L’organizzazione internazionale dei truffatori
La trasformazione in una macchina del crimine è avvenuta nell’arco degli ultimi cinque anni. L’approccio psicologico con cui i truffatori attirano le vittime è rimasto immutato, ma l’organizzazione delle operazioni, la tecnologia utilizzata e la capacità di eludere le autorità si sono evolute fino a creare un sistema sofisticato e ramificato.
I gruppi criminali oggi si comportano come vere aziende. Ogni dipartimento ha il suo compito preciso: c’è chi aggiorna i software, chi cerca nuovi potenziali clienti, chi monitora i bilanci interni. E i clienti, in questo contesto, sono le vittime. Quando un numero di telefono viene bloccato o una piattaforma finisce sotto la lente delle autorità, basta un click. Si cambia nome, sito, logo. E tutto riparte come se nulla fosse.
Il motore di questa nuova industria è la filiera dei pagamenti. Per far girare i soldi servono conti correnti fittizi, criptovalute, fatture false. Servono fornitori capaci di costruire un’infrastruttura parallela dove i fondi possano viaggiare inosservati. E oggi quei fornitori esistono: operano su Telegram, lavorano su richiesta, sono in grado di creare in pochi minuti una via di fuga per i soldi rubati.
Dal forex alle criptovalute
Per capire come si sia arrivati a questo punto bisogna tornare indietro di almeno vent’anni. Secondo le inchieste, le prime truffe su larga scala nascono tra Israele e Cipro nei primi anni Duemila. Il prodotto usato per agganciare gli investitori era il forex, il mercato delle valute dove i trader fanno speculazioni sui tassi di cambio.
L’idea delle truffe era semplice ed efficace: soldi non venivano mai investiti davvero, venivano trasferiti all’estero e fatti sparire attraverso società offshore, mentre un software mostrava grafici finti e rendimenti mai realizzati.
Con il tempo sono cambiati i prodotti. Dal forex si è passati alle opzioni binarie, alle azioni (ancora oggi ci sono proposte di investimento in azioni Amazon che generano rendite passive), ai derivati, alle criptovalute. L’elemento costante è uno: confondere l’investitore. Agganciarlo al telefono millantando guadagni facili, farlo investire sempre di più, impedirgli di ritirare. E quando ci prova, subentrano finte tasse sul trading, burocrazia, condizioni che esistono solo per fargli perdere ancora più denaro.
Le piattaforme truffaldine sono progettate per sembrare professionali. Gli operatori dei call center seguono copioni dettagliati. Si presentano come esperti, consulenti, analisti. Hanno toni rassicuranti. E spesso lavorano in paesi in cui la manodopera è giovane, qualificata e a basso costo, come Albania, Georgia, Macedonia del Nord.
Milton Group e Scam Empire
Nel 2020 Fraud Factory svela l’esistenza del Milton Group. Ha base a Kyiv, ma si muove anche tra Albania, Georgia e Macedonia del Nord. I suoi call center contano centinaia di operatori, hanno legami con politici locali rafforzano l’impunità. I ricavi annui stimati toccano i 70 milioni di euro.
Cinque anni dopo, Scam Empire racconta una nuova rete criminale. Due call center, uno in Georgia e uno con ramificazioni in Europa e Israele. Le vittime sono circa 32.000 in tutto il mondo. Gli investimenti truffati raggiungono i 275 milioni di dollari in tre anni. E le similitudini con Milton Group sono evidenti.
Gli operatori che ci lavorano vengono trattenuti con generosi bonus e feste sontuose. I dipendenti che truffano di più ricevono premi in orologi di lusso o auto sportive. Si parla perfino di alcuni di loro con soprannomi ispirati a film iconici, come “The Wolf of Kyiv” e “The Wolves of Tel Aviv”.
Nuove tecnologie
Alla base di tutto c’è la tecnologia. I criminali non si affidano a software qualunque, li sviluppano internamente o li commissionano ad aziende locali. In Albania, ad esempio, Milton Group avrebbe utilizzato uno strumento chiamato IT PumaTS, progettato per tracciare ogni vittima: contatti, investimenti, preferenze, dettagli personali.
Lo stesso software ricompare anni dopo in Scam Empire, stavolta usato da un gruppo georgiano. Il suo sviluppatore è stato arrestato in Germania nel 2024, ma intanto il modello si è diffuso. L’altro gruppo al centro dell’inchiesta ha affidato lo sviluppo del proprio CRM a un’azienda bulgara. Così si ottimizza ogni passaggio: raccolta dei dati, gestione del cliente, registrazione dei movimenti, come nelle aziende più sviluppate.
Anche la generazione dei “lead” (i contatti, cioè le potenziali vittime) si è evoluta. In Fraud Factory i nomi circolavano in fogli Excel, chat, forum oscuri. In Scam Empire invece c’è un sistema integrato, capace di ricevere dati in tempo reale da portali pubblicitari che promuovono le piattaforme. Una macchina perfetta.
Dove finiscono i soldi
Il punto più avanzato riguarda però la gestione dei pagamenti. Occrp, l’organizzazione internazionale che ha analizzato i documenti interni trapelati, spiega che le organizzazioni criminali usano fornitori specializzati in trasferimenti occulti. Su Telegram basta scrivere un messaggio con nome, nazionalità e importo, e in pochi minuti il denaro è su un conto sicuro, inaccessibile, o in un wallet di criptovalute.
A volte i fornitori emettono fatture per beni o servizi inesistenti per giustificare la transazione. Le banche possono intervenire solo fino a un certo punto: se la vittima conferma l’operazione, i fondi partono e spesso non tornano più.
Alcuni sistemi usati non risultano nemmeno registrati come aziende. “Britain Local”, citato nei leak che hanno dato via alle inchieste, è un esempio. Serve solo a collegare call center e conti bancari, una scorciatoia per muovere soldi da una parte all’altra del pianeta senza destare sospetti.
Un’industria globale
In Germania, nel 2022, le indagini su Milton Group hanno portato a perquisizioni in Albania, Bulgaria, Ucraina e Georgia. Nel 2024 anche l’Fsb russo è intervenuto, con l’arresto di undici ex dipendenti. Ma i processi in corso non hanno ancora chiarito tutti i collegamenti.
Nel frattempo, i truffatori continuano a spostarsi. Se un paese diventa più rigido con la regolamentazione, cambiano aria, cercano territori più permissivi. Lo hanno già fatto con la Polonia, poi con la Georgia. E continuano a farlo.
Di recente si parla molto anche di paesi del Sud-est asiatico, dove stanno nascendo vere e proprie città popolate dalla manodopera dell’industria delle truffe di trading (scam cities). Myanmar, Vietnam, Filippine, Cambogia: sono queste le sedi esotiche dei truffatori, che mettono nella loro rete soprattutto cinesi, giapponesi ma anche europei e americani.
Una recente inchiesta del Wall Street Journal ha fatto emergere un giro di falsi account sui social network generati in massa per truffare. Clonano profili reali, creano falsi annunci, adescano vittime. Il tutto sotto lo sguardo impotente (o compiacente?) di Meta, il gigante dei social network (Instagram, Facebook, WhatsApp). Secondo il Journal, il 70% dei nuovi inserzionisti (la fonte di intrentata principale) sarebbero promotori di truffe.
In Italia, la CONSOB riceve ogni giorno svariate segnalazioni e oscura parecchi broker ogni mese. Sollecita a non fidarsi delle chiamate a freddo o degli annunci troppo abbaglianti, invitando sempre a controllare che la società di investimento sia iscritta nel registro degli intermediari regolamentati.
I pilastri di questo sistema criminale però restano immutati: la promessa di guadagni rapidi, la messa in scena di finti successi, e la sparizione improvvisa del denaro. Ora l’impalcatura intorno è cambiata, è una macchina ben oliata. A noi risparmiatori privati non resta altro che imparare a difenderci.
Lascia la tua opinione o testimonianza